Borderline – Valentina Colombani #borderline #recensione

 

“Borderline è il nome della mia malattia. La malattia che mi porta a raccontare balle, a essere autolesionista e promiscua sessualmente. Io sono Borderline. O pazza. O una stronza scandalosamente viziata. La mia malattia è l’impossibilità di essere normale. E questa è la mia storia”

  • Borderline – Valentina Colombani
  • Copertina rigida: 114 pagine
  • Editore: Einaudi (23 marzo 2004)
  • Collana: I coralli

 

Lei è Valentina.
Mangia e vomita, beve alcol, ingerisce una quantità di sostanze psicotrope che stenderebbero pure un cavallo, ha relazioni sessual/sentimentali instabili, promiscue, degradanti, è ricca, fa quello che le pare… e tutto ciò che tocca diventa merda.
Non è una vera alcolista, non è una vera tossica, non è una vera prostituta… è una Borderline.
Sta sempre sulla linea di confine che affaccia sulla psicosi.
Sta in bilico sul vuoto sconfinato che risucchia tutto e tutto distrugge.

È incapace di amare, ma soprattutto di ricevere amore.
Sempre alla ricerca del disprezzo altrui, semplicemente perché questo la libera dal sentirsi in colpa per la sua totale incapacità di “dare”.
Valentina non studia, non lavora…Valentina non sa fare niente, a parte “stonarsi”, sperperare un cospicuo patrimonio e allontanare tutti quelli che provano a volerle bene, creando intorno a sé un deserto di disperazione.

Ha una madre (che ama disperatamente e che ha visto sobria sí e no due volte in tutta la sua vita)…che si lascia andare lentamente alla deriva, distesa sul letto a guardare il nulla e a farsi divorare dalla depressione.
Ha un padre che l’adora, che le avrebbe donato il mondo (in qualche modo l’ha fatto) e che ha passato la vita a cercare di salvarla da se stessa, devastandosi.

La vita di Valentina è una storia di vuoti, di dolore e tradimenti.
Una storia di promesse non mantenute.
Di instabilità che porta all’autodistruzione.

La sensazione che ho avuto è che la Colombani abbia scritto questo libro sincero, schietto ed intimo, per necessità… per sopravvivere.
Perché senza la possibilità di “vomitarci” addosso più di vent’anni della sua vita allo sbando, non sarebbe mai riuscita a curarsi, a smettere di vomitare il cibo, ad “allinearsi”.
Attraverso la scrittura, il suo dolore assume finalmente una forma e un significato.
Non c’è esibizionismo nelle sue parole, né tantomeno compiacimento…c’è piuttosto il bisogno di ammazzare il demone che la divora dall’interno e che le toglie la possibilità di relazionarsi col mondo, e con se stessa prima di tutto.
Questa è la storia di una ragazza sommersa dal caos, dal disordine interiore.
Questa è una storia vera.

Antonella Russi

DESCRIZIONE

L’autoritratto per nulla indulgente di una figlia della borghesia milanese,compressa nel devastante vuoto degli anni Ottanta. Coi genitori separati, unpadre amorevolmente assente, una madre un tempo bellissima e ora vittimadell’alcool, una “borderline, o pazza, o una stronza scandalosamente viziata”che brucia la propria vita nel desiderio impossibile di una famiglia normale;con il corpo anoressico e nella mente solitudini e abusi, e che a tutto non sae non può che opporre una vita alla deriva, tra droga, uomini e prostituzione.Poi, la felicità che tanto desiderava finalmente si sfoga nella scrittura.Venti anni di vita in fuga raccontati all’impazzata, quasi non potessenascondere la sua medicina: smettere di cadere nel buio scrivendo.

La ragazza che non voleva crescere – Isabelle Caro

 «La prossima volta che incrociate per strada una ragazza troppo magra, regalatele un sorriso. Ne ha davvero bisogno». 

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Vi consiglio uno dei libri migliori letti quest’anno. Isabelle Caro deceduta nel 2010, nel 2006, scrisse la sua autobiografia: la ragazza che non voleva crescere. Questa giovane donna spiega come è caduta nell’anoressia. La madre era una donna profondamente malata, che la teneva rinchiusa in casa e cercava di rivivere l’unico periodo felice della sua vita, quando la bambina aveva 4 anni. E cerca di bloccarla nel tempo. Le compra solo vestiti per bambini, la fa crescere senza nessun altro contatto umano, facendole lei da maestra, le regala solo bambole. La prima volta che isabelle smette di mangiare è perché spera di essere ricoverata, per uscire di casa. Il rapporto di sua madre con lei è morboso, e questa giovane donna si vede con gli occhi di sua madre: si vede sempre troppo grassa, e mostruosa. Non è piccola, e alla mamma piacciono le bambine piccole. E pesa sempre troppo. È un libro commovente e vero. E più di altri dimostra che danni possono fare i genitori, e che gente come sua madre, che poi si è suicidata per il rimorso, non dovrebbero diventare affatto genitori. Questa donna muore a 26 anni pesando 30 kg.

Maria Bonaria Dentoni

DESCRIZIONE

L’autobiografia di Isabelle Caro, la modella gravemente anoressica che qualche tempo fa ha commosso – e soprattutto scioccato – il mondo apparendo nuda sui cartelloni col corpo scheletrico piagato dalla malattia e fotografato da Oliviero Toscani, è un libro amaro, opprimente, che fa male dentro. Un terribile atto d’accusa nei confronti di un padre putativo indifferente, di un padre naturale assente ma soprattutto di una madre disturbata, nevrotica, ferita da un passato doloroso e incapace di trovare un equilibrio. Non stupisce affatto che con l’arrivo dell’adolescenza faccia capolino anche un grave disturbo del comportamento alimentare, che scaraventa Isabelle in un abisso che il libro ci fa esplorare lacrima dopo lacrima, conato dopo conato, bugia dopo bugia. Un abisso dal quale non uscirà mai.
isabelle_caro