L’ombra dello Scorpione – Stephen King #recensione #StephenKing

For Tabby: This dark chest of wonders.

stephen_king_the_stand_book_cover_design_by_carlylynbookcovers-d8g5li7Per la serie “l Libri che non ho mai letto ma prima o poi dovevo leggere” ho finito la maratona de L’ombra dello Scorpione di Stephen King. Ho letto la versione 2, quella lunga pubblicata nel 90 dal Re ancora stizzito dei tagli che gli imposero nel 1976 quando era giovane e sconosciuto e senza potere contrattuale. Ovviamente inutile dire che così, a leggerlo oggi per la prima volta a quarant’anni, il difetto del libro sta nella sua eccessiva prolissità, soprattutto di tutta la faticosa prima parte quando ci si mette troppo tempo a conoscere i tanti personaggi nel dettaglio. Ma nell’introduzione King accetta il rischio sostenendo che tanti dettagli restano per lui (per me è da discutere) fondamentali. La versione era stata rinfrescata con tanti riferimenti alla cultura degli anni 80, che secondo me si vede che sono stati aggiunti dopo. In ogni caso libro fondamentale per l’immaginario comune, serve a capire da dove vengono il 90% di tutti i film catastrofici dal 1976 in poi (l’epidemia scatenata da un virus creato dai militari è l’ABC del genere), così come è oggi topos tutto il ragionamento sulla natura umana che passa nella descrizione di come anche ricreando da zero una società, gli errori e le brutture restano le stesse (che è il tema di tutte le serie tv di successo come Walking dead, Wayward Pines, ecc..). “L’uomo non impara” è la frase che riassume tutto nel finale, e il Male non è necessariamente L’Uomo Nero, il “Cattivo” evidente e satanico che minaccia la rinascita della civiltà (tra l’altro ho capito anche dove la Rowling ha copiato modi, psicologia e potere di Voldemort, è identico praticamente), ma è nelle azioni e nel “pensare solo a sè stessi” dei singoli. Fondamentale, anche se resta per me sempre un po’ ostico andare d’accordo con il suo verboso modo di scrivere, descrivere, rispiegare, puntualizzare, riassumere, ripetere, riscrivere….ma è il suo marchio di fabbrica, si sa. Voto 8.

Nicola Gervasini

Fine turno – Stephen King #recensione #StephenKing

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Ho finito la triologia Kinghiana dedicata al Detective Hodges e all’assassino della Mercedes. Non saranno capolavori, ma soprattutto quest’ultimo, FINE TURNO, mi è piaciuto molto e leggerlo è stato puro divertimento!
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Questo thriller è il terzo volume di una triologia che Stephen King ha dedicato al detective – ex poliziotto in pensione Hodge e a Brady Hartsfield, lo spietato assassino dalla Mercedes. E’ un po’ difficile cercare di spiegare di cosa parla questo appassionante “hard – boiled” a puntate, dal momento che ormai siamo giunti al capolinea della storia, ma cercherò comunque di fare il mio dovere dando le informazioni essenziali senza spoilerare nulla, con buona pace di tutti coloro che non hanno ancora avuto il piacere di avventurarsi in questa triplice lettura. La triologia inizia con Mr Mercedes e prosegue con “Chi perde paga“, a mio avviso il meno appassionante, ma solo perché a tratti sembra po’ slegato dalle radici della storia iniziale: il detective Hogde entra in scena piuttosto tardi, ma i riferimenti con il passato non mancano ed il ritmo incalzante impedisce al lettore di mollare la presa. Sì perché Stephen King è geniale, inarrestabile e sempre generoso di sorprese verso i suoi devoti lettori: sono quarant’anni che quest’uomo sforna libri a ripetizione e, a parte qualche sosta forzata e un paio di libri senza troppo cuore, non mi ha mai delusa. Quando è al massimo della forma, leggere un suo libro è come fare un giro sulle giostre. Diverte, emoziona, e nel mentre il tremito sottile di una paura dimenticata si insidia tra le pieghe del lenzuolo, che mentre leggiamo tiriamo sempre un po’ più sù, fino a coprire il naso: non è una paura che lui ha inventato apposta per noi, ma qualcosa di oscuro ed ancestrale che noi riviviamo attraverso le sue parole…lui gioca con le nostre paure infantili, quelle irrisolte che ci portiamo dietro ancora da adulti e quelle che non abbiamo mai avuto il coraggio di guardare in faccia. Ed è questo che fa la differenza tra Stephen King ed il resto del mondo.
Questa volta King riprende esattamente da dove aveva lasciato con l’epilogo di Mr Mercedes: sono passati sei anni ormai da quando lo psicopatico Brady ha ammazzato otto persone servendosi di una vecchia Mercedes, tutti disoccupati in cerca di un lavoro, e tentato un’altra strage di ragazzine piazzando bombe all’interno di un Auditorium in cui si sarebbe dovuto tenere il concerto di una Boy Band. Non racconterò di cosa ne è stato di Brady, anche se trovate tutto nella sinossi. Non voglio togliervi il piacere di scoprire cosa è successo dopo. Quello che è certo, e che posso anticipare, è che si tratta di un incubo agghiacciante che prende forma poco alla volta. L’Assassino della Mercedes non ha terminato la sua opera, ma eravamo solo agli inizi del suo personalissimo show. I suoi deliri mentali non sono cessati, ma hanno assunto una nuova forma, ancora più inquietante e praticamente impossibile da arginare. I suoi istinti malati si sono amplificati e diffusi traendo forza da una sorta di ipnosi collettiva, la mente di Brady ora non è più solo sua, ma si sta propagando come se fosse un virus infettivo….Le nuove tecnologie, i computer, gli aggeggi informatici di nuova e vecchia generazione, internet ed i social network: tutto contribuisce a potenziare la forza distruttiva di Brady.
Il detective Hodge ancora una volta si rimetterà a caccia, perché da anni non riesce a placare l’ossessione che nutre nei confronti dell’assassino della Mercedes. Tutto, ancora una volta, riconduce a lui. Non sembra possibile e nemmeno logico, ma è come se gli anni passati a dimenticare quello psicopatico non fossero serviti a nulla. Un tarlo invincibile, che scava nella sua mente e non gli da tregua. Insieme a lui ritroviamo ancora una volta i suoi improvvisati compagni di avventura, Jerome e Holly. Tra di loro ormai si è creato un forte legame, che va oltre il rapporto lavorativo in senso stretto: come le dita di una mano, sono sempre pronte ad aiutarsi l’un l’altro, parti integranti di una famiglia costruita sui sentimenti e non sul sangue. Holly è ormai diventata socia a tutti gli effetti dalla “Finders Keepers”, la microscopica agenzia di cacciatori di taglie nata all’epoca della strage, che non ha permesso ad Hodge di godersi la sua pensione. La Finders Keepers, che Holly cura con instancabile solerzia e meticolosità, ha ributtato a capofitto il Det.Rip. nel lavoro, anche se a dire il vero non ha mai avuto una reale intenzione di ritirarsi: l’idea della sua nuova vita da pensionato lo stava letteralmente uccidendo, esattamente come aveva intuito Brady.
Per entrambi è giunto il momento di porre fine a questo lungo inseguimento. Hodge e Brady rappresentano il bene ed il male che duellano fino all’ultimo decisivo scontro, simboli anomli di questo eterno conflitto, perchè non rispecchiano affatto l’immaginario collettivo: Hodge non è un supereroe e Brady non ha le sembianze di uno spietato serial killer. La linea di confine non è mai così netta. Il male che si insinua nella normalità delle nostre vite, trasformandole in autentici incubi ad occhi aperti, è un tema caro all’autore ed in questo romanzo lo ritroviamo con una sorprendente forza espressiva, anche se il thriller è un genere che non gli appartiene. Dietro i personaggi che King mette in scena c’è sempre un’accurata indagine psicologica, un’analisi delle fragilità umane lucida ed attenta che subito mette in sintonia il lettore con la storia. Se l’autore ha un dono, è proprio questo. Non sa creare solo storie perfette, che tengono incollati alle pagine con un misto di ansia e di bramosia, ma riesce a toccare attraverso le parole la parte più nascosta di noi, scivolandoci sopra con decisione e dolcezza, proprio come un pianista che sta componendo una melodia. Ho perso il conto delle volte in cui mi sono commossa, leggendo una delle sue storie. O che mi sono indignata, arrabbiata, divertita. Ho provato tutte le emozioni del mondo da quando lo conosco, ed è successo anche con il detective Hodge e la sua strampalata squadra. Ancora una volta King ha compiuto questa specie di prodigio letterario, e se pensate che io stia esagerando, beh…allora provate a leggere Il Miglio Verde, Stand by me, oppure It…e poi ne riparliamo. Molti suoi estimatori lo hanno criticato per i suoi ultimi lavori perchè, probabilmente, i suoi pesonaggi hanno perso smalto. I “cattivi”, così dice qualcuno, sono meno convincenti rispetto ai bei vecchi tempi, quando tutti noi (nessuno escluso) avevamo una paura folle dei pagliacci e degli hotel fatiscenti. Forse è vero, probabilmente Brady Hartsfield non ci fa tremare le viscere quando lo incontriamo leggendo, ma per quanto mi riguarda io baso il mio giudizio su altri parametri: la scrittura, signori. Le sue parole sono come un vortice, mi hanno risucchiata e gettata nell’anima di una storia stupefacente, eppure così dannatamente legata alla realtà.
Cosa c’è di più importante?

Paola Castelli