The flying Troutmans – Miriam Toews

toews

In fuga con la zia – Miriam Toews

Mi dispiace ma questo libro non mi è proprio piaciuto, ho faticato a finirlo e dall’irritazione l’ho scagliato un paio di volte sul pavimento. E’ un peccato perchè Carlo Mars ne aveva parlato molto bene (qua la sua rece così avete le due brave campane pro e contro: https://cinquantalibri.com/2015/08/09/in-fuga-con-la-zia-miriam-toews-marcosymarcos-miriamtoews/ ) ma a volte un libro ti prende proprio contropelo. La scrittrice è brava, lo stile tutto sommato mi piace, la storia e i personaggi li ho trovati assurdi e anche abbozzati male. Ma non assurdi tipo i Tenenbaums, o forse sì, assurdi come loro ma senza ridere, per la maggior parte del tempo. Non è che se metti dei personaggi strani automaticamente la storia decolla, anzi. In questo libro per me ci sono due pecche fondamentali: uno, è la storia in sè. E’ il road trip di una famiglia disfunzionale, una giovane zia e i suoi due nipoti (una undicenne e un quindicenne), ovviamente nipoti giovanissimi ma simpaticissimi e intelligentissimi, intrapreso alla ricerca del loro padre, in quanto la madre ha seri problemi psichiatrici (psicopatia e desiderio di suicidio) ed è stato necessario ricoverarla in ospedale. Quindi il viaggio sgangherato come forma per sodalizzare la famiglia, risolvere alla fine i problemi, far maturare la giovane zia e lasciare che i ragazzini tornino a essere giovani. Allora, la madre in ospedale perchè è pazza non è un evento improvviso: è un fatto annunciato da anni di malattia, da anni di ricordi della giovane zia protagonista che ha passato l’infanzia terrorizzata all’idea che sua sorella volesse ammazzarla. Però arriviamo noi all’inizio del libro con la pazza che vive da sola con i due minori, amatissimi e che ovviamente stravedono per lei, e nessun familiare ADULTO che decide ogni tanto di intervenire, perchè si sa, la pazza li ama alla follia i suoi figli, quindi lasciamoglieli pure senza supervisione.

Finalmente la bambina undicenne chiama la zia perchè la madre è a letto da settimane senza muoversi, i figli lasciati ad arrangiarsi da soli (perchè, come abbiamo detto, è pazza e non controlliamo), vestiti sporchi, la casa un disastro, scuola saltata, pasti abbozzati con sandwich di burro d’arachidi,  la bambina che si finge la madre al telefono quando chiamano i professori, credibilissimo poi, insomma, già premesse sciocche. La zia arriva, portano la madre in ospedale, e invece di organizzare la casa e le lezioni per dare un minimo di ordine a delle vite già scombussolate, decide di imbarcarsi in questo road trip coi nipoti, senza pianificare nulla, senza avvisare la scuola, senza neanche controllare che la bambina abbia dietro un ricambio di vestiti, perchè ci tiene a farsi la valigia da sola e lei non interviene. Non è neanche un viaggio che ha senso, invece di telefonare all’ultimo indirizzo conosciuto del padre dei ragazzi, che è un artista e risale a quattro anni prima, invece di fare prima per telefono una serie di domande e pianificazioni niente, carica il minivan e partono. Insomma la zia, diciamocelo, dopo 3 capitoli si è già rivelata una mezza scema, e passa tutto il tempo a ricordare in prima persona quanto fosse affascinante la sorella da giovane NONOSTANTE la pazzia, e a sentirsi generalmente incompetente per quanto riguarda i nipoti (ettecredo) ai quali racconta pure delle gran palle per giustificare le sue varie insensate decisioni.

Parranno dettagli, e forse lo sono. Tuttavia per parlare con leggerezza e ironia di una malattia mentale grave e delle conseguenze che questa ha sui familiari, se si decide di scrivere la storia sul tono di un pacato umorismo, ci vuole mestierie, e una rara sensibilità, che io qui ho trovato inesistenti. Se vuoi che la gente si immedesimi e ti segua nella storia, devi mettere personaggi credibili, non macchiette, devono essere umani, non ricettacoli di clichè sparsi negli annali della letteratura alternativa. Non sembrano gente, sembrano personaggi di un libro, appunto. Faccio l’esempio che tutti portano quando leggono questo libro, Little Miss Sunshine: anche lì famiglia sgangherata, road trip, furgone che si rompe (anche qui dai Troutman, trallaltro). Ma la madre funziona, è una donna con dei difetti ma ci prova, è umana, tiene insieme con le unghie e coi denti la famiglia. La bambina è solo una bambina, il nonno pur se drogato e senza freni alla fine della sua esistenza è uno che ha lavorato tutta la vita, pagato i conti, cresciuto figli. Parlando appunto di problemi psichiatrici non affrontati, in Little Miss Sunshine lo zio esperto di Proust viene dimesso dall’ospedale psichiatrico e la sorella se lo porta a casa per occuparsene. Non sarà brava, non sarà perfetta, ma è umana, e adulta. La zia scema è solo una che arriva in una casa desolata da settimane di incuria con una pazza a letto inamovibile e due minori allo sbando, e invece di imporre un bagno caldo e un pasto cucinato ai nipoti si mette a dormire nel letto dove fino a un’ora prima giaceva la sorella (e ci stava da settimane trallaltro, EEEW) e dopo un po’ piange e ricorda e piange. Questo, semplicemente, non è credibile. E il libro, per me, è tutta una serie di cose inverosimili dietro l’altra, e alla fine ti tira fuori.

Per la premessa e la maggior parte del tempo, The Flying Troutmans sembra scritto con in mente Hollywood, o per lo meno Sundance. C’è la bambina strana ma colta che parla, parla, palra, madonna quanto parla, tre quarti del libro sono suoi monologhi; e è troppo strana, troppo colta, troppo troppo troppo tutto. Sarebbe strana una diciannovenne così, un’undicenne è semplicemente assurda; c’è il teenager con l’astio verso il mondo adulto, c’è il viaggio attraverso l’America (ma abbiamo letto decine di road trip attraverso l’America, e questo non è neanche il meglio scritto, per niente), ci sono i personaggi (o le storie) di contorno e alla fine il valore della famiglia, baci abbracci e lacrime. Non c’è neanche un lasciar intendere che le cose si sistemeranno perchè boh, l’impressione con cui si finisce è che alla fine questo sia solo un capitolo disfunzionale della storia disfunzionale di questa famiglia bistrattata dal destino, e in balìa da generazioni di una pazza che non si decidono a curare. Perchè? boh. Nessuno da questa storia esce con qualche lezione duramente appresa o con qualche meccanismo di difesa verso il mondo in più o con qualche risoluzione per il futuro o con qualche nuova forma di maturità acquisita durante il viaggio. La madre avrà altre ricadute, la sorella scema tornerà se chiamata, i figli continuano a non lavarsi. Certo durante il viaggio si sono raccontati storie e ricordi e in fondo ora si conoscono meglio ma questo è sviluppo dei personaggi, introspezione nella storia? cosa mi ha lasciato? una riflessione sulla famiglia, sul valore degli affetti, sullo stare vicino ai malati, sulla fragilità dei minori?

No. Mi ha solo lasciato l’irritazione per il tempo perso dietro una storia già sentita e narrata meglio da altri. La voce della Towes non è male ma rimane troppo indietro rispetto agli altri.

Per me, eh!

Lorenza Inquisition

 

 

In fuga con la zia – Miriam Toews #MarcosYMarcos #MiriamToews

 

agguato all'incrocio

Min e Hattie, due sorelle. Min, problemi psichici da sempre, “Virginia Woolf, Sylvia Plath, ‘Anna Karenina’… il ‘Manuale introduttivo’ di Min all’universo del dolore. La sua biblioteca della perdita. Aveva fatto le letture giuste” ha un tracollo, Hattie corre in Canada dalla Francia per andare a soccorrerla, e per andare a soccorrere i figli di lei, i suoi due nipoti. Perché sono soli, il padre è stato cacciato di casa da tempo. Hattie la ama, ne ha avuto paura, sa che la sua nascita ha segnato la sorella “La mia nascita ha scatenato un’onda sismica nella vita di mia sorella. Il giorno in cui sono venuta al mondo si è messa il vestito al contrario ed è corsa via verso un futuro più luminoso, o piuttosto verso un passato più luminoso. I nostri genitori l’hanno trovata su un albero del vicino. Voleva fuggire? Da allora ha continuato a farlo, viaggiare contemporaneamente in due direzioni opposte, verso l’infanzia e verso la morte. Prima della mia esistenza Min era una bambina normale”. Ma la ama. Però è confusa, non sa cosa fare, e trova un solo modo per dare aiuto, inventarsi un viaggio con i nipoti, in un furgone malmesso, in cerca del padre.
E un viaggio significa avventura, incontri di ogni genere, con personaggi di ogni genere, ma, soprattutto, significa conoscersi. Meglio, o del tutto. Le scoperte della vita, del cuore, capire a chi davvero ci sentiamo uniti. Soprattutto per la zia sarà un viaggio sorprendente, avrà a che fare con due ragazzi diversissimi tra di loro, Thebes, la piccola, un’esplosione di idee, di umorismo, di vitalità, ma anche di sensibilità. Logan, taciturno, molto serio, imprescrutabile, ma che quando sorride scoppia la fine del mondo, il suo sorriso è “come un uragano, eroina, partorire un figlio”. Del resto il sorriso di un ragazzino, di un nipote, di un figlio, è questo, puramente questo. Sono loro due, ad essere maestri per la zia, più di quanto lei riesca a fare con loro. Ma sono pur sempre bambini, e soffrono, non sono esenti dal piangere, dal dolore. Hanno bisogno di amore, rassicurazione, sul presente, sul futuro. Tutti e tre insieme usano il viaggio non per scappare, ma per venirsi incontro, per affrontare la vita con nuovi mezzi, dandosi pacche sulle spalle, cinque alti, imparando a volersi bene, a comunicare. Un viaggio sognante, giocoso, malinconia a pacchi, amore. Mentre sembri lontano da tutto e da tutti, riesci meglio a vedere chi ami e chi ti ama.
Un libro che trasuda di dolcezza, e che fotografa le difficoltà di una generazione di ragazzini cresciuti senza un nucleo familiare coeso, ma che fornisce una speranza, data dalla volontà, dal sacrificio e dall’amore, che possono ricostruire legami nuovi laddove c’era distruzione. Questa scrittrice ormai ce l’ho nel cuore, non ci sono dubbi.

Musica: Try and love again, Eagles

carlo mars

DESCRIZIONE

Sono in tre, partono dal Canada, sfrecciano verso il confine messicano.
Al volante Hattie, giovanissima zia, tornata al volo da Parigi perché la sorella Min, tanto per cambiare, picchia in testa e lascia i figli da soli.
Di fianco a lei Logan, pantaloni troppo larghi, parole poche ma precise, incise sul cruscotto con la punta del coltello: la sua musica Crucifucks, OutKast, Public Enemy, e gli piace sapere che in ogni angolo del mondo troverà uno straccio di campetto di basket dove tirare a canestro.
Ha quindici anni, succhiotti sul collo, e il suo sorriso è come un uragano, eroina, partorire un figlio.
Sul sedile dietro Thebes, undici anni, un fiume di parole, costruisce aquiloni e buoni regalo giganti che danno diritto a diventare attore, o ad affidarle dieci segreti da custodire.
Viaggia con un enorme dizionario che la tiene attaccata alla terra, mentre i suoi pensieri volano sempre più su. Il suo saluto è “Bonjourno!”, la sua sensibilità profetica, il suo umorismo irresistibile.
Puntano al margine della California, al luogo sperduto nel deserto dove il padre si è rifugiato da anni, in esilio da un amore troppo difficile con la madre dei suoi figli.
È un viaggio di sogni, giochi meravigliosi e parole, telefonate ad amori lontani.
 Nel vapore della doccia di un motel si vede chiaramente con chi stiamo, a cosa apparteniamo: seduti sul paraurti nel deserto apriamo finalmente le braccia a chi è dentro di noi.