Continuando con il Il buon soldato Sc’vèik…

…dalla recensione del libro qui: https://cinquantalibri.wordpress.com/2015/03/08/jaroslav-hasek-il-buon-soldato-scveik/

Raffaella Giatti: Purtroppo io dopo 100 pagine non ce l’ho più fatta e non riuscivo a trovarlo comico quanto promette. Però a Praga ho mangiato in un ristorante a lui dedicato, lì ce l’ho fatta.  Sono 2 verdi volumetti, non sarebbe niente leggerli, tranne che io non ci ho capito niente.  Tanta stima per Marta Giani, un panzer.

Andrea Aletto Io ho una predilezione per i cechi, al punto che ogni tanto vado a rileggermi le ultime tre pagine di Praga magica di A.M. Ripellino. Sicché l’opera di Hašek mi è piaciuta un sacco. Raffaella se leggi anche Hrabal e le introduzioni, vedrai che la figura del “pabitele” (fanfarone) parte proprio con Hašek ed il suo Švejk (e in effetti i discorsi sono davvero sconclusionati). 

Marta Giani 850 quasi paggine! 844 se non ricordo male. Ne ho letti di più lunghi, e anche di moooolto più noiosi/illeggibili (ma non erano sempre più lunghi). sono immotivatamente stoica. 

Ferruccio Garzoni Ma allora Non sono l’unico che impiega mesi per leggere un libro… 

Marta Giani. Raffaella Giatti a onor del vero dopo 100 pagine nemmeno io lo trovavo comico come me lo aspettavo. Ma obdurai. Mi dai le coordinate del ristorante a Praga? La cosa che davvero mi spiace, adesso che l’ho finito, è non essermi presa nota man mano di tutti i luoghi – specialmente le birrerie – menzionate man mano… mi ricordo solo l’ospedale mentale di Santa Caterina. Ma ora che ci penso la Stefania Lazzìa di sicuro s’è già fatta una mappa dei luoghi, veeeeeero?

Andrea Aletto Ocio! Credo che il ristorante dedicato espressamente al soldato Švejk sia un patacca… come pare che sia ormai svilito U Kalicha. Si va sul sicuro con U Flehu e U svateho Tomaše (U zlateho tygra è troppo in periferia…)

Stefania Lazzìa Ehhh mannaggia Marta il nostro eroe lo lessi tanto tempo fa quando i blog fugurete se esistevano! devo provvedere. ..comunque ricordo che anch’io a Praga trovai il ristorante che dice Raffaella. Se non rimembro male è nel quartiere delle sinagoghe, ora ci guardo: Svejk restaurant quarter Josefov Praga 1 -Siroka 118/20 (quartiere ebraico) nulla sfugge!

Andrea Aletto Credo di fare cosa gradita a molti nel ricordare che, sempre in Josefov, c’è il Bar Barok, al cui interno si trovano foto autografate di noti personaggi dello spettacolo passati da Praga. Me ne ricordo specialmente di uno (vorrei dire che la sua foto si trovava fra quella di un dobermann e Bruce Lee… ma del resto l’uomo non è nato in Boemia). 

Raffaella Giatti No no, il mio ristorante non è nel quartiere ebraico, ma vicino al palazzo della Bata. Non vale la pena, è una bettola. Nota triste, ero a Praga per Bruce (ma va), TUTTI gli italiani lì presenti hanno incontrato il “nostro”, eccetto me. Nota positiva, ho conosciuto Paolo Ambrosioni e sua moglie Cristina che ovviamente lo hanno incontrato e fotografato sul ponte Carlo. 

Marta Giani Andrea, il noto personaggio dello spettacolo che però non è nato in Boemia è quello a cui sto pensando? Già il nome Bar Bartok vale la visita, se anche non ci fossero dentro foto di gente.
Ma sei assai familiare con la città o sbaglio?

Chiara Maselli Discussione molto interessante!

Lorenza Inquisition Vero! Ma il libro non lo leggo lo stesso! 

Andrea Aletto Marta Giani ci sono stato due volte (l’ultima però nel 1998…) ma posso dire che per lungo tempo quei venti minuti in discesa dal Castello a Josefov mi sono stati più familiari di tanti altri posti. E una volta all’anno obbligo mia mamma a prepararmi l’arrosto di maiale con i knedliky.

Ristorante consigliato: http://www.ukalicha.cz/shop/index.php?lang=EN

Da good reads: It took me more than two years to finish this book. Had managed to get until half-way upon buying it, but couldn’t get myself to continue. Basically, it’s just more and more of the same. On the other hand, that “same” is also pretty damn good. And so, after two years of hesitation I decided to give its second half another chance and liked it. This novel has brilliant satiric comedy, crazy pictures and the highest amount of anecdotes I’ve ever come across. It’s definitely flawed in some parts, with a number of redundant scenes for which the author didn’t have time to do any editing. But still, I would’ve like to give Svejk five stars, were it not for its crazy length of 750 pages. If you want to do “the Czech book” don’t do Kundera but choose Hasek instead.

 

Jaroslav Hašek, Il buon soldato Sc’vèik

Jaroslav Hašek, Il buon soldato Sc'vèik

gloria a dio nell’alto dei cieli
ho finito il mio primo libro dell’anno ventiquindici
(peraltro, ma lo dico sottovoce, iniziato ad agosto ventiquattordici)

ecco la quarta di copertina per darvi un flavor del contenuto (e perché io c’ho la pigrizia di spiegarvi un riassunto):

Il buon soldato Sc’vèik (nell’edizione italiana in due volumi con sottotitoli: Vol.I: Parte prima e seconda: Nelle retrovie – Al fronte, Vol.II: Parte terza e quarta: Botte da orbi – Ancora botte da orbi) è un romanzo di Jaroslav Hašek.

Il romanzo di Hašek ha in comune con la produzione letteraria antimilitarista solo notazioni di scorcio delle devastazioni e miserie della guerra che fa da sottofondo al racconto della marcia eroica e indefessa di Sc’vèik verso Leopoli, dove non arriverà: la morte del suo autore lo lascerà in una cittadina delle retrovie mentre infuria la battaglia sul fiume Bug.

L’antimilitarismo di Hašek più che nella descrizione del volto tragico della guerra si esprime in una satira feroce che attacca la società in tutte le sue istituzioni: la monarchia, l’esercito, il clero, la burocrazia dell’Impero austro-ungarico preso di mira proprio nel momento in cui la guerra, esasperandone l’aspetto cialtronesco e corrotto, ne mostra senza pietà la dissoluzione.

Il successo di Sc’vèik è dovuto alla sua ingenuità unita ad una dose di ottimismo, di solidarietà umana e ad una forma di astuzia tipicamente contadinesca che ne fanno il prototipo dei milioni di soldati travolti dalla carneficina della prima guerra mondiale.

Sfondo delle avventure di Sc’vèik sono terre lontane dal fronte, villaggi sperduti e distrutti dalla guerra, le stazioni ferroviarie dove i soldati abbandonati a se stessi aspettano un rancio che non arriverà o subiscono grottesche ispezioni.

Il lungo viaggio è caratterizzato dai dialoghi surreali dei soldati nei vagoni con le loro partite a carte, e dal filosofeggiare di Sc’vèik che, a proposito o a sproposito, infarcisce i suoi discorsi di racconti grotteschi e paradossali dove spesso si riflettono le esperienze di vita vissuta del suo autore.

Nell’odissea del nostro eroe verso la prima linea più che l’atrocità della guerra appare la sua assurdità fatta di vecchi generali rimbambiti, di ufficiali burocrati, di soldati che dovrebbero stare tutti da una parte e che invece sono ostili ed estranei tra loro: i boemi contro gli austriaci e ancor più contro gli ungheresi che a loro volta disprezzano gli slavi e ancor più i cechi, cattivi soldati, mentre sullo sfondo compaiono in scene comiche e grottesche, gli ebreucci, astuti mercanti che cercano di sopravvivere con un misero commercio, disprezzati da tutti.

Giganteggia su tutta questa varia umanità la figura di Sc’vèik, simbolo di colui che ha colto l’assurdità della vita per quello che è e che non la giudica ma l’accetta ingenuamente e bonariamente nella sua insensatezza.

“Una grande epoca esige grandi uomini. Vi sono degli eroi ignoranti e oscuri… l’esame della cui indole darebbe ombra perfino alla gloria d’Alessandro Magno. Oggigiorno si può incontrare per le via di Praga un uomo trasandato, che non sa quanta importanza abbia avuto la propria opera nella storia di un’epoca grande e nuova come questa. Egli percorre tranquillamente la sua strada, senza che nessuno gli dia noia e senza dar noia a nessuno, e senza essere assediato da giornalisti che gli chiedano un’intervista. Se gli domandaste come si chiama, vi risponderebbe con l’aria più semplice e più naturale del mondo: ‘Io son quello Sc’vèik…'”
Con queste parole J. Hasek (1883-1923) presentava l’umile e grottesco eroe del suo romanzo, il bonario allevatore e mercante di cani, strappato alle sue pacifiche occupazioni e mandato a combattere in difesa dell’impero austro-ungarico nella prima guerra mondiale. Preso nel vortice di avvenimenti che vanno molto oltre le sue capacità di comprensione, Sc’vèik destreggia con un misto d’ingenuità e di furbizia, forte di quella sua obbedienza assoluta alla lettera degli ordini ricevuti che porta all’assurdo e dissolve nel ridicolo ogni autorità. Nel buon soldato Sc’vèik i lettori di tutto il mondo hanno riconosciuto un eroe sovrannazionale, il campione di un irriducibile pacifismo e antimilitarismo e un simbolo dell’inalienabilità dei diritti dell’individuo contro ogni tutela e usurpazione dittatoriale.

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che viaggio, maronnn!
confesso che ho impiegato molto tempo prima che questo libro mi catturasse davvero. non mi è molto chiaro il punto ma direi tra la fine della seconda parte e l’inizio della terza; come se ad un certo punto cambiasse di ritmo e si facesse più brillante e avvincente. in effetti la scansione delle sezioni è piuttosto ineguale e le ultime due sono anche le più brevi.
ma al netto di queste fregnacce: che libro straordineeerio. vale tutti i mesi impiegati per leggerlo e in più ti insegna che:
Praga ha UMMMIGLIONE di quartieri diversi
e tutte le città che non sono Praga si chiamano collo stesso nome impronunciabile

pi esse scoprire all’ultima riga che il romanzo è incompiuto è una delusione clamorosa.
per contro, il fatto che chiuda su una grossissima scorpacciata di maiale e varie forme di superalcolici polacchi con un cazzone che declama il patriottismo e l’abnegazione e la fedeltà al dovere, è una chiusa ad effetto che ci metterei la firma.

Marta Giani