Giorgio Falco – L’ubicazione del bene #giorgiofalco

«Chi usciva alle sei di pomeriggio dubitava della forza aziendale. Chi usciva alle otto di sera dubitava della vita».

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A Sud di Milano cosa c’è? campagna malaticcia, tralicci di alta tensione, cani che abbaiano al nulla, svincoli autostradali, villette a schiera, giardinetti pubblici, capannoni, uomini e donne.
E in quelle villette cosa c’è? Ombre di vita, impenetrabili all’esterno, miserie private, grandi ripicche e gioie minime, pietrificate nel possesso delle cose.
Le cose de-cantate da Georges Perec, spezzettate, anatomizzate e riassemblate con pietosa ferocia dall’occhio di Giorgio Falco. Un occhio umano e vitreo insieme, che penetra nei recessi di Cortesforza, nome inventato per un paese reale, per il paese reale, per questa Italia del Nord produttivo e insulso.
Racconti brevi, meno brevi, tutti taglienti e lucenti come un bisturi, sondano le profondità di anime svuotate, votate all’accumulo, all’egoismo, alla solitudine, che si fa più acuta quando è divisa in coppia, in famiglia.
Piccoli fallimenti senza importanza, un Tozzi, uno Svevo del Duemila, o un Volponi postmoderno, in cui le mosche del capitale diventano termiti, zecche, pulci, o formiche bianche, pronte ad insinuarsi nelle fondamenta del vivere, a corroderlo e farlo marcire, o esplodere.
I personaggi di Falco non parlano quasi, non urlano, non muoiono, non si perdono in atti eclatanti, perché sono già finiti, o sfiniti, da una lotta impari, persa in partenza, quella ingaggiata decenni fa, con la sporca, rabbiosa rivoluzione industriale, e completata con l’asettico, oh quanto pulito e disinfettato, postmodernismo.
Sullo sfondo, una natura esausta, uccelli presi a fucilate dai cacciatori, cani che abbaiano senza senso, serpenti esotici e pesci combattenti, pappagalli più umani dei bambini, prati così curati da sembrare finti, aria asfittica, irrespirabile.

E, sul tutto, la Parola. Che dice, accosta e disgiunge, chiarisce e armonizza. Un piacere molesto, leggere Falco. Eppure, piacere concreto, materico, parole come cose, che rotolano dalla pagina negli occhi, e dagli occhi nella mente, e da lì non se ne vanno più. E uomini, e donne, modellati dalle parole, liberati da queste dall’ubicazione del bene immobile, per guadagnare il Bene mobile: quello della nostra precaria e turbata memoria.

“Io vivrò in questo posto ancora per poco, ma adesso sono qui, senza un colpo di scena, un addio al check-in dell’aeroporto, senza una scena di sesso, un letto d’ospedale, la sensazione di minaccia incombente, un momento felice durante l’antipasto, senza una donna nuda sulla bilancia, un personaggio leggendario che ha sempre la battuta intelligente, tre righe dall’inizio e subito un dialogo edificante. ”

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DESCRIZIONE

Nell’anonimato di vite qualunque Giorgio Falco coglie la zona grigia che unisce il fallimento e la grazia. In un libro dal tono sommesso e lancinante, che restituisce alle cose minime il compito di raccontare la grandezza e l’imperscrutabilità dell’esistenza.

A venti chilometri in automobile dal lavoro e dal supermercato, come accade ai bordi di ogni metropoli, la città continua e diventa un altro luogo: Cortesforza. Come la contea di Yoknapatawpha in Faulkner e la Regalpetra di Sciascia, Cortesforza è un luogo tanto piú vero quanto piú è immaginario.
Qui si vive un esodo eterno, e la giornata è ridotta a tragitti in tangenziale verso casa. Il lavoro non si vede piú, è dappertutto, ha invaso i comportamenti quotidiani, affettivi. Per dare un senso alle proprie esistenze, gli abitanti di Cortesforza accendono un mutuo, traslocano in una zona nuova o «mettono in cantiere un figlio». Ogni volta, però, lo svelarsi improvviso di una seppur piccola possibilità provoca una sconfitta irreversibile.
Una commedia umana raccontata con sguardo lucido, impietoso, privo di giudizi. Nessuna apocalisse: solo un’inevitabile, comune disfatta.

Giorgio Falco – La gemella H #GiorgioFalco

consigliato su tutta la linea!

Ernesto Valerio

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DESCRIZIONE:

La voce de La gemella H non è solo quella di Hilde: è un crepaccio che inghiotte le parole di tutti. La storia comincia nel 1933, a Bockburg, cittadina bavarese, dove nascono le gemelle Hinner, Hilde e Helga. Il padre Hans dirige il giornale locale, e spinto dall’ambizione vive sino in fondo gli anni del Terzo Reich, qui narrati da una prospettiva del tutto inedita: la merce. I debiti per la casa, la rincorsa all’automobile lussuosa, l’appropriazione della villetta del vicino ebreo, che dà inizio a una seria di speculazioni immobiliari, prima in Germania poi in Italia. Dal bagnino della piscina di Merano alle commesse della Rinascente nel dopoguerra milanese, fino alle sonnolenti stagioni balneari della Riviera romagnola, il racconto di «due mondi che si uniscono per sempre».

La storia di tre generazioni della famiglia Hinner, che dalla Germania di Hitler arriva all’Italia dei giorni nostri. A parlare è Hilde, testimone della sua stessa esistenza, ribelle inerte nel mondo progettato dal padre, dai padri. La sua voce, ora laconica ora straripante, narra ottant’anni di vicende private intimamente intrecciate al Novecento, «all’alba dei grandi magazzini», al turismo di massa, all’ossessione del corpo. Fino a innescare un cortocircuito che fa esplodere il nostro presente, denudandolo come mai prima era stato fatto. Se I Buddenbrook ripercorreva la decadenza di una famiglia tedesca dell’Ottocento, La gemella H non può che registrare il giornaliero «assecondare il flusso di eventi travestiti da soldi» di una famiglia ossessionata dai beni e compromessa con il Male. Decisa a dimenticare, pur di salvarsi.

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«Succede nelle dittature e nelle democrazie, la quotidianità prende il sopravvento come una forma ottusa di rimozione, di difesa, e suggerisce la vita».