L’altra figlia – Annie Ernaux #AnnieErnaux

In un’assolata domenica d’estate una bambina ascolta per caso una conversazione della madre, e la sua vita cambia per sempre: i genitori hanno avuto un’altra figlia, morta ancora piccola due anni prima che lei nascesse. È una rivelazione che diviene lo spartiacque di un’infanzia, segna il destino di una donna e di una scrittrice, e infiamma l’intensa prosa di questo romanzo breve. «Per lasciarsi alle spalle il fuori fuoco del vissuto» Annie Ernaux intraprende una lettera impossibile a quella sorella sconosciuta. Rivivono così i sensi di colpa e i moti d’orgoglio, le curiosità taciute e le inconfessabili gelosie, il peso del confronto e il privilegio di essere amata. Ancora una volta la grande autrice francese intesse una prodigiosa corrispondenza di sensi tra vivi e morti, scolpendo in una scrittura perfetta la storia di una relazione fragile, preziosa e irrimediabile come ogni esistenza umana.

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Se ne “GLI ANNI” Annie Ernaux ci raccontava 70 anni di vita con un taglio autobiografico ma più rivolto verso il mondo che “la” e “ci” circondava (eventi, modi di essere e di pensare, speranze, illusioni di una intera generazione) in questo breve, intensissimo L’altra figlia  la scrittrice francese mette a nudo se stessa personalmente. In maniera molto dolorosa, quasi feroce, ci racconta i sentimenti generati da un discorso carpito involontariamente ai propri genitori, quando scopre di avere avuto una sorella morta per difterite all’età di sei anni.
Di questa sorella – Ginette – non si deve parlare con lei, Annie, considerata quasi un ripiego, nata solo perché non c’è più la primogenita, più bella, più brava, credente, quasi una santa.
Da quel momento lei si sente un surrogato, una figlia di scorta e inizia un lento inevitabile progressivo distacco dalla famiglia: vincono l’ipocrisia e la rimozione  come regola di comportamento, il sotterfugio anche per visitare la tomba regolarmente, senza farsi scorgere dall’altra figlia.

Scritto in forma di lettera alla sorella morta, con una scrittura tagliente come i sentimenti che esprime, questa novella parla di come l’autrice sia arrivata a provare la vergogna di poter essere al mondo solo perché la sorella è morta, quasi un sacrificio propiziatorio. Attraverso questo monologo verso la scomparsa Ginette, l’autrice sembra voler costruire con la sorella un impossibile rapporto che diventa alla fine più intenso e sincero di quello avuto con i genitori.

Renato Graziano

Il posto – Annie Ernaux #recensione #AnnieErnaux

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Annie Ernaux è una (auto)-biografa davvero notevole. Per me lo conferma la lettura di questo Il posto, primo uscito di una ideale trilogia. Il secondo, Gli anni, è una  cavalcata di sette decenni di vita in cui l’autobiografismo è solo il grimaldello di ingresso alla visione sociale, culturale, esistenziale di tre generazioni alle prese con un mondo in continua mutazione. Infine, L’altra figlia, dolorosa confessione di un tormento collegato alla scoperta tardiva e reticente da parte dei suoi genitori dell’esistenza di una sorella maggiore morta a 6 anni.

Ne Il posto, forse il più riuscito dei tre nel difficile equilibrio fra memoria personale e racconto di vita collettiva, il meccanismo di innesco è la morte del padre, avvenuta mentre chi narra, in questo caso la scrittrice, è in visita ai genitori, ma ormai lontana fisicamente e socialmente da loro.
Un padre di condizione umile, prima contadino, poi operaio e poi commerciante-barista assieme alla moglie, attraverso il quale intravediamo il mondo circostante del paese natale dell’autrice (Yvetot nella Bassa Normandia) e da cui lei, progressivamente, facendosi adulta se ne distacca senza strappi dolorosi ma con la consapevolezza di una diversa maturità e di un avanzamento sociale, per quella generazione, del tutto naturale.

La capacità della Ernaux di ricreare i mondi passati, la memoria degli eventi piccoli e grandi, interni ed esterni alla famiglia che costruiscono le biografie di vita è stupefacente, perché ottenuta con progressivi essenziali elementi narrativi allo stesso tempo ricchi di dettagli e assolutamente sobri nella forma. La lettura non è mai faticosa ma scorre piana e coinvolgente come raramente capita nel leggere le biografie, perché davvero ci sembra di essere in quegli anni, in quei posti. Una scrittura che usa anche riportare come testimonianza le brevi frasi di buon senso comune o di antica saggezza che più di interi capoversi di ponderosi saggi sociologici danno il senso di come si viveva, di cosa si pensava, della scala di valori e di convinzioni. Un mondo contadino e piccolo-borghese che potrebbe oggi farci sorridere se non avessimo sotto gli occhi il disastro sociale, l’insicurezza e le disuguaglianze sociali con le quali le generazioni nate da quel mondo si devono confrontare e che nessuno sa come contrastare.

Renato Graziano