Finito di leggere “Lorenzo Pellegrini e le donne”, capitolo finale della trilogia fantastorica italiana di Enrico Brizzi. Nel complesso l’epopea mi ha colpito positivamente come un’idea intelligente e affascinante, un’ipotesi tanto ironica quanto intrigante su come sarebbero potute andare le cose nella nostra Italietta, che pur avendo vinto la guerra a fianco degli alleati sarebbe sempre rimasta quella che conosciamo bene, che critichiamo e sbeffeggiamo di continuo proprio pe…rché la amiamo e non possiamo farne a meno.
Purtroppo a questo volume manca la lucidità dei due libri precedenti, essendo privo di quel mordente avventuroso, ironico e drammatico che spingeva a divorare le pagine. Qui il tono si fa tragicomico, quasi parodico, nella rivisitazione surreale della sorte del Grande Torino, il cui aereo non è mai precipitato sulle colline di Superga, e della nazionale italiana di calcio diretta in Brasile per i mondiali del 1950. Mentre nel rievocare le vicende del protagonista durante il servizio di leva a Ponte sull’Eno (una Innsbruck che fa ormai parte del territorio italiano), la scrittura perde un po’ di quella lucidità iperrealistica che aveva contraddistinto la narrazione del periodo di guerra. Non mancano però intuizioni geniali, momenti divertenti e drammatici, e spunti interessanti su cui riflettere. Personalmente trovo che il brano in cui Lorenzo ha finalmente la sua “prova del fuoco”, mentre si avvia col suo plotone a stanare dei ribelli asserragliati in un bunker sotto la neve, e in modo del tutto irrazionale ha un’epifania sulla natura delle donne che lo porterà a diventare lo scapestrato sciupafemmine che abbiamo conosciuto nel primo volume, rappresenti uno dei momenti sublimi del romanzo, una di quelle intuizioni vincenti per cui vale comunque la pena di leggere il libro.
Paolo Simonetti
