Nina Stibbe – Love, Nina

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eh inzomma, arivo puro io. e arivo, contrariamente all’altri incliti lettori che me so sembrati poco soddisfatti dal principiare libresco del dumilaquatordici, estremamente soddisfatta.
sto libbro qua mi era stato consigliato dal mio amico Nick e quindi mi metto in un cantuccio e lascio parlare lui.

N.d.r. 1 è un libro DELIZIOSO.
N.d.r. 2 io SONO una raffinata signora di una certà età e oltre!
N.d.r. 3 la copertina è na meraviglia.

“Il mio editore mi ha mandato un libro. Si intitola: Love, Nina, sottotitolo A nanny writes home (Una bambinaia scrive a casa). Sulla copertina c’è il grazioso disegno di un tavolo da cucina: una teiera (con copriteiera), una scatoletta di pelati, un piatto, un tazzone, dei fogli di carta, una bottiglia di latte. C’è anche una lattina di Heineken, ma non abbastanza stridente da alludere a qualcosa di trasgressivo: questo libro è chiaramente destinato a un pubblico di raffinate signore di una certa età e oltre. Ma proprio quando sto per buttarlo nel bidone della differenziata mi blocco e penso: un momento. Perché il mio editore mi manda un libro destinato a un pubblico di raffinate signore di una certa età e oltre? Lo so che è da un po’ che non scrivo un romanzo, ma forse qualcuno della mia casa editrice ricorda che sono un rappresentante del sesso forte e ho una scarsa tolleranza per la raffinatezza. Tiro fuori il libro dal bidone, ci trovo dentro un biglietto di un editor che conosco e che stimo, e comincio a leggere, ancora un po’ diffidente. Be’, ho scoperto che Love, Nina è il libro più divertente ed eccentrico che abbia letto quest’anno, e sono sicuro che sarà molto amato per molti anni. E non era neanche l’unica sorpresa che mi aspettava. Nina Stibbe è arrivata a Londra dal Leicestershire nel 1982, a vent’anni, per lavorare come bambinaia in una famiglia molto complicata. Il libro è una raccolta delle lettere che ha scritto a sua sorella Victoria in quei primi anni (le risposte della sorella non ci sono, anche se a volte le allusioni nelle prime e ultime righe delle lettere di Nina aiutano a immaginare la sua voce, e il legame di gioiosa intimità che c’era tra loro). “Anzitutto, per quanto riguarda il tuo datore di lavoro che gira nudo per la casa, non credo che c’entri il fatto che è svedese o norvegese” è l’inizio di una lettera. Un’altra si chiude con: “Sono sorpresa di Gordon Banks” (Gordon Banks era il portiere dell’Inghilterra negli anni sessanta, ma saperlo non vi aiuterà a decifrare il riferimento più di quanto abbia aiutato me). E qui c’è la seconda sorpresa: conosco indirettamente quella famiglia. La padrona di casa è Mary-Kay Wilmers, oggi direttrice della London Review of Books, e i bambini di cui Nina dovrà occuparsi sono Sam e Will Frears, all’epoca di circa dieci e otto anni, figli di lei e del mio amico Stephen Frears. Anche questo è piuttosto strano, perché magari a voi sarà già capitato di leggere libri scritti dalle ex bambinaie dei vostri amici, invece a me mai.
Arrivo sempre ultimo, come al solito. Avrei tante cose da dire su Love, Nina ma da dove comincio? Potrei cominciare dal luogo in cui è ambientato, Regent’s park – nel nord di Londra e non lontano da casa mia – e dai nuovi vicini di Nina: Alan Bennett, brillante commediografo, attore, saggista e sceneggiatore, vive nella casa di fronte; Jonathan Miller, regista teatrale e intellettuale superfamoso abita in cima alla strada; e Claire Tomalin, amatissima biografa, abita dietro l’angolo con il suo compagno Michael Frayn e i figli di lei. Almeno all’inizio Nina non ha idea di chi siano quelle persone: “Naturalmente è quell’Alan Bennett là”, scrive a Victoria con una certa condiscendenza. “Se lo vedessi lo riconosceresti subito. Recitava in Coronation street”. Si riferiva alla nostra più vecchia e longeva soap televisiva e – inutile dirlo – Alan Bennett non c’entrava un bel niente. Strano, perché Nina è un’osservatrice molto acuta, tanto che prosegue facendo un ritratto di Bennett così vivido e riconoscibile che sembra di sentire parlare un personaggio uscito da una delle sue commedie, da uno dei monologhi di Signore e signori, magari. Quasi tutte le sere, Bennett attraversa la strada per andare a cenare con Mary-Kay, Nina e i bambini, e la conversazione è di questo tipo:
AB: Davvero gustoso.
MK: Devi proprio dire “gustoso”?
AB: Lo è, gustoso.
MK: Non sto dicendo che non lo sia, ma non c’è bisogno di dire “gustoso”.
Nina viene interrogata da AB (sospettoso?) sugli ingredienti di una pietanza:
AB: Ci hai messo il cardamomo?
N: Era solo consigliato.
AB: E tu hai seguito il consiglio?
N: No.
Le lettere di Nina sono piene di scenette come questa, tutte teneramente e buffamente rivelatrici delle preoccupazioni domestiche di un insolito nucleo familiare. AB, MK, Sam e Will parlano di fiori e lavanderie a secco, ripieni di torte e lavori stradali, e dell’enorme sedere di una vicina di casa, e di come si dica mother­ fucker in tedesco (ab: Potrebbe essere muttericken? o magari arshicken? arshlock? Ma non potremmo parlare di cose più gradevoli?). E ben presto i commenti di Nina Stibbe inducono nel lettore una specie di ridarella isterica, e non vedi l’ora che arrivino il prossimo pasto, il prossimo taglio di capelli, il prossimo guasto del frigorifero, il prossimo appuntamento galante di Mary-Kay (“Forza, capellone!”, urla Sam a uno sfortunato e zazzeruto accompagnatore di Kay, mentre stanno uscendo insieme). E non è finita. Love, Nina è un improbabile ma infallibile ritratto della vita con un bambino disabile: sia Sam Frears sia Tom, il figlio di Claire Tomalin, hanno gravi problemi di salute, e anche se nelle sue lettere Nina parla di grandi spaventi e corse in ospedale con ammirevole e misurata concretezza, chi è abituato a convivere con la disabilità riconoscerà il senso di allarme costante, le gioie impreviste regalate dalle strutture di sostegno, l’inevitabile umorismo nero…

Ho adorato questo libro e potrei andare avanti a citarlo all’infinito. È autentico, strano, vitale, acuto, affettuoso, contiene parecchi riferimenti all’Arsenal e non so quand’è stata l’ultima volta che ho riso tanto leggendo un libro. Se è stato pubblicato dobbiamo ringraziare Mary-Kay e i suoi figli: del resto, il libro è di per sé un tributo a loro, alla loro intelligenza, al loro senso dell’umorismo, alla loro allegria, al loro essere una famiglia ammirevolmente funzionale. A proposito: l’editore ha cambiato la copertina del libro, ma io credo che dovreste leggerlo comunque sia rivestito.”

Lazzìa

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